Per tutta la durata di questa legislatura si è dibattuto in ogni parte del Parlamento, commissione ottava del Senato, Commissione di Vigilanza, aule di Camera e Senato, della nuova concessione alla Rai che scadeva il 6 maggio del 2016.
In quanto membro delle commissioni competenti e come correlatore in Vigilanza Rai, ne sono stato parte attiva in ogni passaggio. Ho fortemente contestato metodologie e mancanza di rinnovamento, ho perorato il rispetto degli inviti dell’Europa in merito alla separazione funzionale e ogni chiara e inequivocabile indicazione fornita dagli autorevoli rappresentanti dei primari organismi nazionali competenti sul tema, auditi, su mia richiesta, sulla concessione del servizio pubblico.
Sulla Riforma RAI ho presentato oltre 100 emendamenti tra Aula e Commissione ottava al Senato, tutti bocciati ed oggi sento dire da importanti esponenti del Governo, a soli 8 mesi dalla conclusione dell’affidamento esclusivo alla Rai, inaccettabile per forme e contenuti, che si dovrebbe privatizzare o inserirne il costo nella fiscalità generale. Questo, in pratica, da coloro che, invece, hanno voluto l’inserimento del canone in bolletta e la concessione per 10 anni ad un valore, solo di canone, di circa 23 miliardi di euro dei cittadini, senza contare la pubblicità e le convenzioni con enti pubblici locali e nazionali.
Per dette ragioni, con la Professoressa Loiodice e l’avv. Mazzella abbiamo lavorato per ricostruire quanto accaduto, anche ai fini di un esposto alla Commissione Europea, per sottolinearne la rilevanza e segnalare che potrebbe comunque incidere sul futuro del Paese, così come sui rapporti concorrenziali nell’intero sistema commerciale dell’Unione.
Desidero sintetizzare, con l’elenco che segue, i vari passaggi nelle varie aule e commissioni a partire dal 2013, quando il Vice Ministro dello Sviluppo Economico era il Professor Antonio Catricalà che proponeva il più che motivato “bollino blu” per segnalare in modo evidente ai cittadini/utenti, vessati da un canone ingiusto, quali programmi venissero pagati dal canone e quali dalla pubblicità.
ELENCO:
– Legge n. 208/2015 (cosiddetta Legge di Stabilità 2016), che introduce la riforma dell’imposta sulla televisione;
– Legge 28.12.2015, n. 220, avente ad oggetto la “Riforma della RAI e del servizio pubblico radiotelevisivo” dove, fra le altre, ribadisce l’unicità della RAI e viene istituito un sondaggio popolare su come dovrebbe essere il servizio pubblico in generale che, incredibilmente, verrà poi chiamato “CambieRAI”;
– D.lgs 18 aprile 2016, n. 50 recante “Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”;
– Legge 26.10.2016, n. 198, che prevede norme per l’affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale;
– Legge 27 febbraio 2017, n. 19 recante ”Proroga e definizione di termini”
– Parere della Commissione Parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi sullo schema di convenzione di affidamento della concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, assegnato il 10 marzo 2017 e terminato l’11 aprile 2017;
– Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28 aprile 2017 recante “Affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale ed approvazione dell’annesso schema di convenzione”.
Le vecchie normative affidavano a Rai la concessione del servizio pubblico radiotelevisivo fino al 6 maggio 2016; i diversi interventi sopra elencati, anziché cercare di modificare in modo sostanziale le vecchie cattive abitudini, hanno di fatto rinnovato la concessione tale e quale, senza pretendere dal concessionario (Rai) né piano investimenti industriali, né piano news. Non è stato permesso ad alcun soggetto di partecipare, neanche in parte, a gestire il non definito Servizio Pubblico, non si è stabilito, appunto, cosa si possa definire come Servizio Pubblico ma si è, invece, pensato ad indicare con forza l’unicità del Servizio Pubblico della Rai senza definirne il contenuto. Quindi si è definito il soggetto RAI come Servizio Pubblico anziché indicare finalmente le tipologie di programmi, contenuti che caratterizzano il Servizio Pubblico radiotelevisivo e come tali sostenibili da un cospicuo gettito dei cittadini (23 miliardi di euro in 10 anni totalmente senza controllo).
Siamo già partiti male con il cosiddetto sondaggio sull’opinione pubblica che ha visto partecipare sia i cittadini che volevano esprimersi (peraltro in un periodo molto breve) sia i soggetti interessati. La ricerca è stata effettuata come indicato dall’Europa, ma ne è stato stravolto il significato, concentrandolo non su cosa vorrebbero gli intervistati dal servizio pubblico in generale, ma su cosa ne pensano della Rai. Non a caso le domande e lo stesso titolo del sondaggio erano evidenti nel loro significato, indirizzando gli interlocutori solo ad un giudizio legato a Rai (il nome del sondaggio, CambieRAI, la dice lunga).
Le varie proroghe alla concessione susseguite, dal maggio 2016 al 31 ottobre 2016 (in base al D.Lgs. 50/2016), al 31 gennaio 2017 (con la L. 198/2016) e, infine, al 30 aprile 2017 (col D.L. 244/2016), pur avendo avuto 3 anni di tempo per arrivare all’appuntamento del nuovo affidamento del servizio pubblico radiotelevisivo, dimostrano quanto dibattito e quanti freni al rinnovamento, interni ma anche esterni alla Rai, vi siano stati, da parte di fornitori interessati a mantenere la situazione in essere e da parte della politica, che ha avuto come unico obiettivo la riforma della governance per avere più potere sull’azienda Rai, sulle nomine nelle innumerevoli redazioni giornalistiche e sui singoli canali. Altro che far uscire la politica dal Servizio Pubblico!
Poi molti sono stati i temi trattati e regolarmente aggirati ad arte.
È possibile che si sia definita l’unicità della Rai senza aver stabilito prima della concessione quale fosse l’oggetto della gara? La concessione rinnovata o prorogata è di fatto una nuova concessione del valore di circa 23 miliardi di euro su 10 anni ma ad oggi è ancora senza un piano industriale e senza il piano news che sono punti cardine di un qualsiasi contratto di concessione secondo le normative italiane e comunitarie, nonché punti essenziali di un servizio pubblico.
Sul tema “concessione Rai” (che, lo ricordo, è del valore totale di 23 miliardi di euro oltre la pubblicità e altre entrate derivanti da accordi con enti pubblici per un totale di 30 miliardi di euro) l’intento doveva essere di migliorare un sistema che fino ad oggi ha evidenziato gravi criticità, commistione tra servizio pubblico e tv commerciale, distorsioni del mercato, vantaggio competitivo, utilizzo dubbio di soldi pubblici per programmi di Servizio Pubblico che di Servizio Pubblico non hanno proprio nulla, uso di canali radio e tv in numero esagerato così come un numero assurdo di redazioni giornalistiche, caso unico al mondo.
Per tali ragioni e molte altre che non elenco tutte:
– ho presentato molti emendamenti ai diversi progetti di legge che hanno interessato il predetto servizio pubblico radiotelevisivo ma nessuno è stato accolto, in questi diversi anni, dalla maggioranza, verificando di persona il muro costruito tra politica di maggioranza e Rai e con posizioni sempre accondiscendenti da parte di diversi soggetti anche della minoranza a seconda dei temi trattati, per mantenere il sistema come era;
– ho sollecitato in ogni modo consentito dalla mia carica di parlamentare, il rinnovo della concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo, dibattuto sulla legittimità di estenderlo anche al multimediale, nei tempi stabiliti senza dover ricorrere alle tre deroghe che il Governo ha utilizzato semplicemente perché non ha voluto decidere;
– quando la Commissione di vigilanza sul servizio pubblico radiotelevisivo ha dovuto dare il prescritto parere in occasione della presentazione, da parte del Governo, dello schema di convenzione di affidamento della concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, al fine di emettere un parere giuridicamente legittimo e conforme al diritto comunitario, in Commissione ho richiesto di audire diverse Autorità competenti nel settore, come Vice Ministro Morando, Corte dei Conti, Antitrust, AGCOM, ecc.. Quindi, dopo aver invano dialogato con il relatore di maggioranza per fare accogliere le raccomandazioni indicate nelle audizioni, ho ritenuto di presentare autonomamente 62 emendamenti al testo proposto, finalizzati a migliorare nettamente la proposta governativa con la stesura di un parere il più possibile completo, tecnico, giuridicamente inoppugnabile e privo di ingerenze politiche.
In particolare le proposte emendative che recepivano i suggerimenti/richieste degli auditi erano finalizzate a:
– prevedere una nuova concessione che contenesse tutti i requisiti prescritti per questa fattispecie contrattuale come gli obblighi e i doveri del concessionario e del concedente;
– prevedere una reale separazione societaria funzionale, così come anche raccomandato dall’Europa, o contabile eventualmente prevedendo una separazione per rami d’azienda;
– evitare commistione tra pubblicità e programmi finanziati dal canone radiotelevisivo;
– diminuire ed evidenziare i canali di servizio pubblico;
– accorpare redazioni;
– creare un possibile sistema plurale di concessionari pubblici, procedendo con gare, cercando di evitare distorsioni di mercato;
– evitare che il concessionario approfitti della sua posizione dominante e degli aiuti di Stato per acquistare e produrre programmi audiovisivi di servizio pubblico e vendere pubblicità al loro interno;
– eliminare i costi irragionevoli che possono creare nuove distorsioni in Rai, presenti e futuri come gli investimenti sul web.
In Italia si deve creare un servizio pubblico con più soggetti come negli altri paesi. Non è il soggetto, ma l’oggetto del programma che è definibile “Servizio Pubblico”. Questo può essere erogato sia da un soggetto pubblico che privato, basta venga indetta una gara chiara e trasparente. L’interesse primario è che “i cittadini paghino per un Servizio Pubblico l’importo minore per ottenere il servizio migliore”.
È sbagliato, pertanto, definire l’unicità della Rai. Il caso più palese riguarda alcuni programmi che erano sulla Rai ed ora sono su La 7. Perché prima erano di Servizio Pubblico e ora non più?
È inoltre necessario diminuire il numero dei canali Rai, sia tv che radio.
La Rai infine, con il denaro pubblico non dovrebbe certo investire alcunché per creare un nuovo forte concorrente alle aziende private che operano sul web (come è stato stabilito chiaramente in Germania), investendo enormi somme di denaro derivanti dal canone, certamente “irragionevoli” per una società privata che non gode in esclusiva di 23 miliardi garantiti dai cittadini, e visto che i contatti sul web non si fermano alla nazione, è del tutto evidente come detti comportamenti incidano su tutto il sistema dei media comunitario.
Sen. Maurizio Rossi